Amelia Rosselli

from Variazioni belliche

 

O rondinella che colma di grazia inventi le tue parole e fischi
                                                                         libera fuori d’ogni piantagione
con te ballerei molto al di là dei nidi precisi saprei la
indulgente cima. Se si ripetono gli
semoventi affanni, se la ribellione deve smorzarsi, se la tuo piuma cade
                                                                       per terra
ch’io almeno sogni! I’indifferenza e che le
bionde tirannie (e che la casa dai matti)
custodiscano il tuo vampo (le tue bionde tirannie).


Roberto, chima la mamma, trastullantesi nel canapè
bianco. Io non so
quale vuole Iddio da me, serii
intenti strappanti eterità, o il franco riso
del pupazzo appeso alla
ringhiera, ringhiera si, ringhiera no, oh
posponi la tua convinta orazione per
un babelare commosso; car de foglie secche e gialle rapiscono
il vento che le batte. Nera visione albero che tendi
a quel supremo potere (podere) ch’infatti io
ritengo sbianchi invece la terra sotto ai piedi, tu sei
la mia amanted se il cielo s’oscura, e il brivido
è tuo, nell’eterna forest. Città vuota, città piena, città
che blandisci i dolori per
lo più fantastici dei sensi, to siedi
accaldata dopo il tuo pasto di me, trastullo al vento spianato
dalle coste non oso più
affrontare, temo la rossa onda
del vero vivere, e le piante che ti dicono addio. Rompi-
colo accavalco i tuoi ponti, e che essi siano
lamia
natura.
Non so più
chi va e chi viene, lascia
il delirio transformarti in incosciente
tavolo da gioco, e le ginestre (finestre) affacciarsi
spalmado il tuo sole per le riverberate vertra.


                       E l’albeggiare sarà
quella fila di perle tu porto ogn’oro slacciato sul tuo perleo
collo, smagrito, o! le
ossa camuffate, che
premono, nel eccitato sconvolto riso. E tu le
bende porerai su quei tendini
spezzati dalla furia di amare
gioncondamente.


                E poi si addatterà, alle mie cambiate contingenze, car
io ho cambiato residenza, non son più il fiore
timido appeso dove erano i salici e non voglio le tue enerezze
che crudele combatto perchè io non ho più
tenerezza. Se tu la mia tomba vorrai sfiorare con le delicate mani
poni una pietra di ferro e di peso sulla bianca lastra che mi
copre, e tu sciverai
il verso che chiude
i’intenso paragone. Non ho più la lana nel fosso, e non ho
nemmeno la tenera fede di chi ti toccava la mano per la
compresione ora non rivoglio, la luna è piena abbastanza, e fa lei
da grande sorela, e il suo micidiale raggio io per diavoleria ora
seguo, che m’illumini gli spigoli dell’essere, su di un tenerello prato
dove remano in un modo sofferente e cauto
i morti di domani. Non più camminerò con
te le tue strade ben ricolte fra le tombe vasarie, e la
rugiada può pur bruciare i miei piedi, io m’assiedo e
rido e sputo sui franchi visi del giovinotti ammazzati dal tuo
ordine. Non vi fosee questa mia e di altri crudeltà non vi
fossero quelle allungate gambe, quei dorsi nudi e gracili
sotoo la erba. L’intento tuo non raggiungerai, prima che tu
passi per i miei canali stretti e duri.


                    Fui, volai, caddi tremante nelle
braccia di Dio, e che quest’ultimo sospiro
sia tutt’il mio essere, e che l’onda premi,
stretti in difficile unione, il mio sangue,
e da quell’inganno supremo mi si renda
la morte divenuta vermiglia, ed io
che dalle commosse risse dei miei compagni staccavo
quell’ansia di morire
godrò, infine, ? l’ere della ragione;
e che tutti i fiori bianchi della riviera, e
che tutto il peso di Dio
battano sulle mie prigioni.


Cos’ha il mio cuore che batte sì soavemente
ed egli fa disperato, ei
più duri sondaggi! tu Quelle
scolanze che vi imprissi pr’ia ch’eo
si turmintussi sì
fieramente, tutti gli sono dispariti! O sei muiei
conigli correnti peri nervu ei per
brimosi canali dei la mia linfa (o vita!)
non stoppano, allora sì, c’io, my
iavvicyno allae mortae! In tutta schiellezze mia anima
tu ponigli rimedio, t’imbraccio, tu, ?
trova queia Parola Soave, tu ritorna
alla compressa favella che fa sì che l’amore resta.


il carrubo dei tuoi pensieri si
slaccia violente e non permette
ch’io gli faccia squarcio dai suoi
lampi di buio. Tu non stornare la
pietra che fa sì che tutti noi ci
abbeveriamo ad un filo di pietà, tu
non rimuovere gli antichi angioli
dai loro piedestalli di pietà, e se
le opache tende dei giganteschi
guerrieri ti offendono, getta tutto
in mare, e salva solo las mosca che
vola.


I’iddio che brucia tutto fra furgoncino e la pietè, il
gran salame il gran universo oh tu sei un unico essere con
una punta sì fine ch’io cangio colore al solo
considerarti ma l’uomo con le sue variegate variopinte pene
(o gran varietà del tutto!) mi
stringe in un rapporto sì crescente o sì duro a patirsi sì
estremamente colpevole, ch’io ne ritardo ogni usata usanza
siccome troppo hanno i miei usati sensi visto del mondo che si stende
come una lunga farina, tra monti, spiaggie, alberi, albiococchi, ogni genere di
saliva ai tuoi piedi, e tu che ne capisci niente e non (e non
potrai mai) connettere le variegate vicissitudini in un
unico andare in un unico flagello di dio perchè
lui si nasconde sietro le ombre.


e cosa voleva quella folla dai miei sensi se non
l’arsa mia disfatta, o io che chiedevo
giocare con gli dei e brancolavo
come uno povera mignotta su e giù
l’oscuro corridoio ? oh! lavatemi gli piedi, scostate
le feroci accuse dal mio
reclino capo, reclinate
le vostre accuse e scombinate ogni
mai viltà!: non volei io rompere il delicato strato di ghiccio
non volei rompere la battaglia crescente, no, giuro, non volei
irrompere fra le vostre risa
irrisorie! ? ma la grandine ha altro scopo che
di servire e l’orientale umido vento della
sera ben si guarda dal portar
guardia ai miei
disincantati singhiozzi da leone: non più io correrò
dietro ogni passaggio di bellezza, ? la bellezza è vinta, mai più
smorzerò all’attenti quel fuoco che ora balugina come
un vecchio tronco
del cui cavo le rondinelle fanno deriso nido, gioco d’infanzia,
incalcolante miseria, incalcolante miseria di simpatia.


perchè io non voli, purchè tu non
cada, purchè la luce si faccia tutt’un
universo, chi’io dorma, nell’infortunato addio.
E che la tua gioconda veste di Sposo ti
ravvolga, che sia come per i Santi l’Unica
Cena, quel tuo sospirare senza sonniferi. Non vi è luce
senza gloria, e non vi è inferno
senza diffamazione. L’arido orizzonte
è un gioco di ombre: non seguirlo, non
tirare il sasso nell’acqua, ? che tutto si
faccia da sè, anche nell’agonizzante silenzio.

 

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