Anna Maria Carpi

 

Da   Il cucciolo e la morte

Madrepianura, madrespazio, spettri,
sabato sera, inverno, qui a Ferrara
danno un Requiem famoso.
Sciama la gente in pellicce di nebbia,
microbi umani
dentro l’uovo di luce del Teatro.
Non rimane più anima là fuori,
solo il Castello
che non batte ciglio. Solidale
come la pietra non c’è nessuno.

Nunc et in hora nostrae mortis,
ora e nell’ora della nostra morte – 
sempre più notte è la notte fuori,
e va l’invidia
a quei due, giovani e strani,
che si tengon la mano, in prima fila,
assorti, attenti.
Ecco, è l’amore. Averlo:
l’àncora sarebbe,
pensano in fondo all’anima
i naufraghi, i dispersi.


 

Venezia si chiamava,
ma di campo in campo
non rimane nessuno.
Nebbia d’acqua e di fumo,
ultimo lembo della veste
di un dio né buono né malvagio.
Dio è indifferente e viaggia senza volto
col vento verso la terraferma
donde anch’io vengo.

Si chiamava Venezia. Chi non c’è stato,
chi non l’ha avuta? Sono venuti sin dalle steppe.
E non c’era più altro che taverne,
cambiavaluta e gadgets.
Sembrava Cuba, Haiti al tempo dei pirati.
E non erano il peggio i transeunti,
il male oscuro
erano gli abitanti.
Il Dorsoduro intorno alla Salute
era una roccaforte di arlecchini.

Anche di far progetti contro il mare
ne avevano abbastanza.
Ora il mare è venuto.


Gli ultimi amici
se ne sono andati in terraferma. Dal campo vedo
che nella casa vuota va e viene il vento.
Anche il mio piccolo gatto se n’è andato
in terraferma.
Non c’è più la Giudecca là davanti.
e i pochi
deboli lumi ancora accesi
sono di gente che fa trasloco.


 

Da quando all’alba il sole
sulla terra brillava,
la candela di Dio,
finché stremata la creatura umana
non trovava riposo nel tramonto –   
sui campi c’era sangue:  
così dice una saga 
del nord. Dove? Da qualche parte.
Quando? Cosa mi chiedono!
Intorno...al mille…forse.

Hanno ragione i giovani,
che non sanno le date,
non distinguono secoli e millenni:
un’unica esplosione 
sono Kuweit e Kosovo e Hiroshima, 
Hastings e Roncisvalle,
gli afghanistani e i mori
e le gole di Spagna   
e i cardi, il vento e i fiori.


 

A  M. Yourcenar

Testa coperta, tutta sotto il manto
adatto ai dolci venti di Fiandra
e alle bufere del Maine, 
uomo, donna – che importa?
Quando verrà, dicevi,
non può la morte che riunirmi
alla bimba che ero, la petite fille
qui j’étais autrefois,
la bimba che mi attende
di là dei tempi.

Io mi domando come farai.
Rientrerai in lei come la sera
fanno le ombre, o come
si sovrappone l’ultima versione
di uno scritto alla prima?

Ti è sceso il viso
ai lati della bocca –
il vecchio cane! –
ma gli occhi, fermi, vedono col buio,
la cornea bianca, la pupilla nera,
e ridono
dal bosco senza stelle
le sorelle
civette.

 

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